Calce Canapa per l'autocostruzione e il recupero dei villaggi rurali post terremoto
@ Studio Brusa Pasquè
Nepal
2016
Idea:
prof. Dipak Pant
Progettista architettonico:
Arch. Elena Brusa Pasquè
Arch. Dario Tresoldi
Arch. Marco Zanini
Il materiale che compone il modulo è un impasto a freddo di calce canapa con le seguenti caratteristiche:
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La leggerezza, il mattone in oggetto pesa 7 volte meno che lo stesso in cemento.
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L’isolamento termico, in un unico elemento abbiamo prestazioni strutturali e di isolamento.
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La capacità di assorbimento e regolazione dell’umidità. La canapa trattiene l’umidità dell’aria rilasciandola gradatamente quando l’ambiente diventa più secco e non subisce modifiche di volume significative.
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La possibilità di essere sagomati con strumenti semplici. Questi mattoni possono essere tagliati manualmente con strumenti utilizzati per lavorare il legno.
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Ecologico. Il mattone viene prodotto a freddo e la produzione delle materie prime, specialmente la canapa, è un processo ecologico e positivo verso l’ambiente. Materiale composito senza formaldeide.
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Ignifugo.
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Inattaccabile dagli insetti.
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Immarcescibile. La canapa non marcisce.
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Riciclabile. Il mattone può venire riciclato reimpastando il tutto.
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Economico. Un unico modulo avente caratteristiche strutturali e isolanti prodotto con materiali semplici ed economici e dal costo di produzione basso.
Trasmittanze - Comparazione
calce canapa 24cm 0,27 W/m²K
Argilla pieno 25 cm 1,35 W/m²K
Argilla forato 25 cm 1,0 W/m²K
Poroton 24 cm 0,40 W/m²K
Ytong 24 cm 0,31 W/m²K
Costi - Comparazione
calce canapa 24cm 75 €/m²parete
Argilla pieno 25 cm 82,6 €/m²parete n 118 (0,7€ cad)
Argilla forato 25 cm 8 €/m²parete n13 (065€ cad)
Poroton 24 cm 14 €/m²parete n14 (1€ cad)
Ytong 24 cm 54 €/m²parete
Introduzione
Come risponde l’architettura alle grandi questioni che la società pone?
Nel 2010, la popolazione urbana mondiale ha raggiunto il picco, superando il numero di persone che vivono in zone rurali. Una città che come ci ricorda Loos fa perdere radici: qualsiasi abitante della città, non ha civiltà. All’architetto manca la sicurezza della sua civiltà (quell’equilibrio interiore ed esteriore dell’uomo garantito soltanto dal pensiero e dall’azione razionali). Produciamo luoghi che sradicano gli abitanti.
La consapevolezza dell’incapacità del pianeta Terra di garantire lo stile di vita capitalistico a 66 milioni di individui ci ha portato a questionare il processo del fare architettura. Mettere in dubbio la filiera classica (cliente > architetto > costruttore) è stato motivo per immaginare scenari in cui il cliente possa essere il costruttore (o che addirittura la figura dell’architetto scompaia). Nulla di nuovo considerando che l’uomo era solito Farsi casa: costruirsi casa come atto fondante dell’abitare(come lo intende Heidegger) e come espressione di un pensiero collettivo. Il luogo come portatore di senso, di comunità e di identità. L’uomo che si fa la casa esperisce significati dal proprio ambiente.
L’abitante banalizzato oggi è reso consumatore di suolo e prodotti e non è creatore di comunità, di paesaggio. Quest’ultimo viene de-territorializzato. Crediamo l’autocostruzione, quindi, come risposta all’alienazione: un ritrovato fare in opposizione a una continua delega deresponsabilizzante dell’uomo non più in grado di essere partecipe della formazione del luogo che causa lo scollamento e la perdita di identità.
Non un progetto di architettura ma un progetto di uno stile di vita, consapevole e auto sostenibile che responsabilizzi l’abitante/cittadino.